Amministratore della Cassa di Risparmio di Asti. Ancora impegnato per costruire un progetto riformista

Mauro Oddone
Andrea Gamba
Luciano Montanella

Diventammo amici stringendoci la mano

Sergio Chiamparino

L’anno era il ’68, o il ‘69, non ho agende; mi supporta solo la memoria ma comunque il periodo era quello, il mese agosto, il luogo Portacomaro d’Asti, paese dell’Astigiano in cui ero solito trascorrere una parte delle vacanze; il clima dell’epoca non c’è bisogno credo di ricordarlo; dalla città, dalle fabbriche e dalle Università si era esteso alle campagne ed il tema catalizzatore era l’istituzione del Fondo nazionale antigrandine.
Fino ad allora una grandinata estiva poteva portare via il reddito di una famiglia per tutto l’anno ed erano pochi quelli in condizioni di tutelarsi con assicurazioni private. A dire il vero io , infarcito da letture operaiste, capivo poco dei problemi dei contadini ma li vivevo attraverso i problemi dei miei parenti, e attraverso le nottate di discussione con gli amici nel dehor del bar latteria sfidando la pazienza di chi aveva le finestre della camera da letto volte verso piazza… Parafrasando la celebre frase del “Manifesto”, da quelle infinite discussioni emergeva un fantasma che si aggirava per le colline dell’astigiano del Monferrato e di Langa, il suo nome era Bruno Ferraris. Una figura di cui i contadini parlavano con rispetto quasi mitologico, tanto da farla apparire quasi surreale.
Una figura che si materializzò all’alba di un giorno di agosto, sullo stradone che va verso Isola d’Asti laddove all’epoca iniziava la circonvallazione del paese, luogo che era stato scelto per il raduno dei trattori, baricentrico tra le colline astigiane e quelle di Langa. In camicia bianca, senza cravatta, con le maniche rimboccate, la sigaretta stretta fra le labbra, risaliva la lunga colonna di trattori che si era formata molto al di là delle aspettative della vigilia. Io ero nel gruppo di Portacomaro, Bruno ovviamente non sapeva chi fossi, tra strette di mano e pacche sulle spalle di soddisfazione per la riuscita della manifestazione, fui presentato, in dialetto, come “un giovane studente di Torino, in gamba”. Fu una grande emozione stringere quella mano e poi vedere quella figura salire su un rimorchio dove era stato allestito un podio improvvisato, prendere il microfono e ribadire le ragioni della protesta: il fondo di solidarietà antigrandine che in effetti trovò poi una prima parziale accoglienza da parte del Parlamento.
Quella figura di autentico leader popolare, credibile anche da chi non era dalla sua parte politica e sindacale che tutti sapevano quale fosse, capace di mobilitare e capace di porre fine alle mobilitazioni, capace di spiegare e far capire i risultati ancorché parziali che si erano raggiunti, mi rimase impressa, mai avrei però pensato di trovarmi a lavorare con lui nemmeno tanto tempo dopo. Era il ’75, grande affermazione delle sinistre alle elezioni amministrative, nasce la giunta Viglione in Regione, si avvia il primo piano economico regionale, nasce il Comitato per la programmazione che si affianca alla Giunta per la predisposizione di quello strumento di governo e ne vengo chiamato a farne parte come giovane ricercatore universitario in area o in quota dell’allora partito comunista.
Ebbi così l’occasione di conoscere Bruno più da vicino ed in un’attività amministrativa diversa significativamente anche se non opposta a quel lavoro di massa, come si diceva una volta, in cui lo avevo conosciuto. Poi da giovane di studio assunsi anch’io via via una mia connotazione più politica fino a farne il mio mestiere. E Bruno fu sempre un interlocutore. Negli schieramenti interni al PCI (c’erano anche allora ma erano un’altra cosa rispetto ad oggi) Bruno se ben ricordo rifletteva l’area ingraiana, più movimentista rispetto all’ala amendoliana considerata più riformista; ma Bruno in realtà era un autentico riformista, capace di coniugare, come ho accennato prima, mobilitazione popolare e politiche di governo anche con i limiti ed i vincoli che, spesso, le politiche di governo hanno perché a loro volta condizionati da fattori esogeni. Furono poi tante le occasioni di incontro e lavoro comune con Bruno in tutti gli anni che seguirono.
Mi è rimasto impresso e gliene sono ancora grato per il sostegno indiretto ma importante che mi aveva fatto pervenire quando da segretario del PDS portai avanti l’operazione Castellani come fu poi definita per le elezioni comunali a Torino del ’93. Ed in seguito più volte mi chiamò ad Asti, dove si era costituito un forte nucleo di Rifondazione comunista, per discutere di quell’alleanza riformista fra settori del movimento operaio e settori della borghesia produttiva che era alla base della candidatura di Valentino Castellani, con l’idea che quella era la strada giusta da percorrere per ridare un futuro alla sinistra italiana ed europea.
E, anche alla luce della situazione odierna, difficile dire che non avesse ragione.

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