Credo che l’idea di ricordare il compagno Ferraris con un gesto di dedica sia giusta, perché Ferraris ha dedicato una vita ai nostri ideali, e, sino all’ultimo, li ha rappresentati con impegno e onore, attirando ad essi stima ed attenzione della gente.
Potrei raccontare molti episodi della sua vita, soprattutto nel periodo di militanza comunista. Mi limiterò agli aspetti strettamente politici, specie per i lunghi periodi in cui il nostro rapporto è stato stretto, per il lavoro verso il ceto medio contadino delle campagne astigiane.
Insieme abbiamo lavorato, a cavallo tra la fine degli anni ‘40 e gli inizi di quelli ‘50, per organizzare la Confederterra, organizzazione unitaria di allora dei braccianti, mezzadri, coltivatori piccoli proprietari, collegata alla C.G.I.L. . Gli stipendi erano minimi ed estremamente aleatori, ma a tutto suppliva l’entusiasmo giovanile.
Insieme abbiamo però capito che la specificità della posizione dei coltivatori, proprietari dell’azienda agricola, richiedeva un diverso tipo di organizzazione. Per questo, in una riunione presso la Fed. Prov. del PCI, ove ero passato a dirigere la Comm. Lavoro di Massa, e con la presenza dell’allora segretario prov.le del PCI, Villa – e ciò anche alla luce di un contemporaneo articolo di Ruggero Grieco su “Rinascita” che sollevava nazionalmente lo stesso problema-, decidemmo di dare vita all’A.C.A., una delle primissime organizzazioni autonome di sinistra dei contadini in Italia ed al suo giornalino, “Il Contadino Astigiano”, finanziato per decenni con la caratteristica raccolta del “sacchetto di grano”.
La gestione dell’A.C.A. da parte di Ferraris durò sino al 1960, dopo di che fu eletto segretario provinciale del PCI, in sostituzione di Oddino BO, eletto deputato.
Alla segreteria dell’ACA subentrò il sottoscritto – lasciando la carica di segretario provinciale del sindacato FIOM che reggevo in quel momento – e il mio decennio circa di gestione prosegui quella politica contadina condivisa con Ferraris. Dopo questo sommario excursus storico, ritengo però sia fondamentale collegare tutto l’arco di vita del compagno Ferraris al processo di formazione, ad Asti, di un nuovo gruppo dirigente del PCI, e, nel quadro regionale e nazionale, di formazione di una nuova classe dirigente legata ai valori popolari, di cui il PCI fu crogiuolo e di cui Ferraris fu certamente uno dei migliori prodotti.
Chi erano, nei primi anni dopo il ‘45, i dirigenti e le personalità più rappresentative del movimento comunista e sindacale astigiano?
Erano anziani antifascisti, già confinati dal fascismo o usciti dal movimento clandestino o dagli scioperi operai del marzo ‘43 o commissari politici delle formazioni partigiane.
I nomi dell’ex ambulante Spada, dell’operaio Vogliolo, dell’operaio torinese Rostagno, dell’immigrato argentino Audano, degli operai Amerio Secondo e Saracco Secondo, del maestro Torretta, poi deputato, di Tino Ombra un operaio nominato dopo il ‘45 a direttore della Way Assauto, di Amerio Pierina, del prof. Arcelli e dell’avv. Felice Platone prestigioso primo sindaco di Asti e deputato alla Costituente, meritano di essere ricordati, certo assieme a tanti altri, per cui l’elenco sarebbe molto lungo. Alla guida di tutti, nell’mmediato ‘45 un commissario partigiano, il dott. Bernieri, ritornato dopo poco tempo nella sua Toscana, e poi, per vari anni, un alessandrino “prestato” quale segretario alla Federazione di Asti, Villa, uomo preparato ed aperto, buon educatore politico delle nuove generazioni.
Erano uomini di prestigio per il loro passato e forgiati dalla clandestinità ad una durezza in molti casi anche settaria, per i quali il comunismo era Stalin, vincitore della guerra contro il nazifascismo e guida nella lotta anticapitalista, che mai però avrebbero potuto accettare le degenerazioni rivelatesi dopo la morte di Stalin ed il rapporto Krusciof. Sia tale rapporto, che il memoriale di Yalta di Togliatti, che lo “strappo” di Berlinguer non crearono contraccolpi sensibili nel gruppo dirigente astigiano o nei rapporti tra i componenti anziani e quelli giovani di tale gruppo. La validità in ogni momento della linea del PCI non era posta in discussione.
C’erano poi i giovani, che negli anni, sotto questa guida, dovevano formarsi per assumere vari incarichi nella vita politica. I primi: Bruno Ferraris, Oddino Bo, dopo il ‘50 segretario provinciale, Marisa Ombra, Rina Gaeta, Valerio Miroglio, Dario Ardissone, Pierino Testore, Marialuisa Porrati, il sottoscritto e poi, dopo, Viola, Mirate, Lajolo Laurana, Archimede, Medici Nerina, Amerio Mario e vari altri.
Fu una scuola dura, “sul campo”. Le riunioni per creare l’organizzazione di partito in ogni paese, quartiere o fabbrica; diffusione dell’Unità casa per casa alle domeniche; raccolte di massa di firme per la pace; comizi in ogni più piccolo e sperduto paesino della provincia – lasciati da soli dall’auto staffetta ad attendere la gente all’uscita della messa , anche varie volte, nel ‘48 e ancora dopo, con il contradditorio pubblico dello stesso prete che aveva terminato la messa -; organizzazione e direzione di scioperi operai e cortei e manifestazioni contadine; Feste dell’Unità, ecc.
Fu uno sforzo duro, costante, che impegnò tutti, per creare legami con i vari strati popolari e mobilitarli nella lotta per il cambiamento politico-sociale. Fu una scuola dura, ma anche una scuola di vita corretta, fatta da uomini che non avevano ceduto sia alle persecuzioni del fascismo e sia a lusinghe e tentativi di corruzione. Non è un caso che la bufera di Tangentopoli, che ha squassato i vari partiti della prima repubblica, non abbia colpito dirigenti del PCI.
Qual era il clima attorno a noi? Gli “altri” – D.C., PSDI, PLI – avevano uomini preparati e aiutati nelle sacrestie, avvocati, professionisti, uomini che già gestivano vari livelli di questa società. Gli “altri” avevano le Madonne pellegrine e le prediche nelle chiese nei momenti elettorali, le cariche antioperaie della “Celere” del ministro degli Interni Scelba, i manifesti con lo “sfilatino” regalato dal Piano Marshall dell’America o quelli con la figura degli ussari sovietici alla carica in piazza S.Pietro in Vaticano. Avevano “il microfono di Dio” il gesuita Padre Lombardi. E poi, le elargizioni a pioggia ed a fondo perduto del “Piano Verde” nelle campagne, i Consorzi Agrari “bonomiani”, da cui, ad Asti, fu rapidamente estromesso il direttore Platone perché comunista, ecc.
L’esperienza del governo di unità dopo la Liberazione – con Togliatti alla Giustizia e Scoccimarro all’Economia – e dell’accordo per la Costituente, si era rapidamente conclusa con l’esplodere della guerra fredda e con la sconfitta del Fronte Popolare nelle elezioni del 1948, che sanzionarono per decenni la conventio ad escludendum dei comunisti dal governo. Anche la rottura dell’unità operaia nella CGIL, con il sorgere di CISL e UIL e le aspre polemiche conseguenti, indeboliva fortemente, in quel momento, il movimento sindacale.
Un ricordo strettamente personale: il mio foglio matricola militare nel ‘48 era marchiato da un timbro rosso, comunista, e secretato in fureria. Ero un sorvegliato speciale. Tutto ciò – e non solo l’ideologia marxista – concorreva a fare di noi un partito di lotta ed a formarci politicamente in tal senso.
Esistevano in quegli anni le condizioni per grandi lotte. La struttura economica provinciale era profondamente diversa da quella attuale. La classe operaia era importante e concentrata soprattutto in alcune grandi fabbriche metalmeccaniche: la Way Assauto, con 2500 dipendenti, la Morando con 450, la Maina e le Ferriere Ercole con 150-200 operai ognuna. Tutti fortemente uniti e sindacalizzati, che condussero importanti lotte per migliori condizioni di lavoro, per i contratti nazionali e per contratti aziendali migliorativi di quelli nazionali.
Altre aziende minori, specie vinicole, erano sparse e meno influenti nella provincia.
Solo pochi anni dopo sarebbe iniziato quel processo che su scala nazionale è stato denominato di “innovazione”, ma che, nella realtà astigiana, ha portato alla crisi ed allo smantellamento di tali aziende maggiori, con l’aggravante della crisi FIAT che ha provocato la caduta dell’indotto auto, e , conseguentemente, una forte trasformazione strutturale e sociale dell’economia provinciale. Hanno resistito quelle aziende, in settori particolari come quello vinicolo e alimentare, che, con dimensioni medie, sono state capaci di creare un proprio legame autonomo con il mercato ed hanno operato, sia pure in un mercato concorrenziale, con prodotti di eccellenza: Gancia, Bosca, Saclà, e poche altre.
Nelle campagne, la plurisecolare struttura basata sulle piccole aziende coltivatrici, praticamente autosufficienti, con scarsi legami di mercato, salvo quello vinicolo, e basate sull’energia di lavoro data dai bovini delle piccole stalle aziendali, sentiva fortemente il gravame del dazio di tipo feudale sul suo unico prodotto e soffriva l’aleatorietà della produzione, in molte annate falcidiata dalla grandine che azzerava il reddito di un anno intero. Iniziava l’esodo dei giovani dalle campagne, attratti dagli impieghi nelle città, e, contestualmente, un lento e difficoltoso processo di meccanizzazione dell’agricoltura e di creazione di strutture cooperative, le cantine sociali.
Se questo era il contesto storico, il gruppo dirigente comunista astigiano, pur essendo fuori da ogni area di governo, ha avuto un forte ruolo per contrastare gli aspetti negativi di tali processi e per conquistare migliori condizioni al mondo del lavoro, sia nelle città che nelle campagne.
Quello che conta, che è positivo, è il fatto che, malgrado tutto, l’azione della sinistra di allora ha lasciato il segno e molte delle cose buone che ancora oggi persistono, nelle fabbriche e nelle campagne, sono il risultato di quelle lotte condotte, attorno a mezzo secolo fa, sotto la guida dì quel gruppo dirigente.
Nel ’60 il Comitato Federale PCI decise il mio passaggio dalla carica di segretario prov. FIOM alla direzione dell’ACA.
Il nuovo incarico non nasceva, io ritengo – forse immodestamente – da una critica, ma da un riconoscimento, data l’importanza che il PCI dava in quel periodo al lavoro verso i contadini e all’ACA, allora pupilla agli occhi del PCI astigiano, anche sulla base della prassi allora vigente che i sindacati erano la “cinghia di trasrnissione” della politica del partito verso le masse. Nei fatti, tale avvicendamento avvenne perché Ferraris era stato eletto segretario del PCI di Asti, a seguito dell’elezione di Oddino Bo a deputato. Si ritenne,credo, che io fossi un sostituto naturale a Ferraris, sia perché eravamo stati cofondatori dell’ACA e sia perché, anche da segretario della FIOM avevo continuato a seguire il movimento contadino, tanto da rielaborare in quel periodo un saggio storico sul movimento contadino astigiano, già fatto nel ‘50 a conclusione del corso alla scuola nazionale di partito e pubblicato con menzione dalla stessa. Tale studio partiva dalla conquista e dalla trasformazione colturale delle terre dell’astigiano nei secoli del 7-800, sino al Partito dei Contadini, movimento peculiare delle campagne astigiane, sorto dopo la prima guerra mondiale con la scissione di una frangia del Partiito Popolare. Volume che si trova a disposizione sia alla biblioteca Alfieri che all’Istituto Storico della Resistenza di Asti. Non è certo un esercizio di stile, perché io ero un ex operaio e non ho dottorati universitari, ma è comunque una documentazione sino a quel momento inesistente e che testimonia il mio interesse verso il movimento contadino.
Ma comunque, a dirimere ogni eventuale questione sul clima e le motivazioni del mio passaggio all’ACA, può valere come teste attendibile l’on. Oddino BO, allora segretario uscente della Fed. Prov. del PCI e quindi responsabile in primis delle designazioni in quel momento.
Sbagliò il PCI di quegli anni? In ogni azione umana vi possono essere insufficienze, errori, ritardi, ma non sarebbe giusto disconoscere quanto da lontano provengano alcune fondamentali intuizioni.
Già in quegli anni, il concetto gramsciano di egemonia della classe operaia nel processo dì cambiamento della società italiana, era ben diverso dal concetto leninista di dittatura del proletariato. Certo oggi, il minor peso della classe operaia nell’attuale società conduce la sinistra a seguire linee strategiche diverse, ma i valori sociali che la ispiravano restano ancora fondamentalmente validi e attuali.
Già allora, nella nostra provincia, questo ci conduceva a condurre le lotte operaie propagandandole anche nelle campagne, tanto che in occasione di un lungo sciopero delle Ferriere Ercole – nel periodo della mia segreteria FIOM – la solidarietà dalle nostre campagne giunse attraverso diversi sacchi di grano e bidoni di olio, per sostenere le famiglie dei lavoratori in lotta.
Anche l’altra grande intuizione gramsciana, esposta nel saggio “La questione meridionale”, che il cambiamento in Italia passava attraverso un accordo tra le grandi correnti popolari, quella di ispirazione socialista e quella di ispirazione cattolica, resta fondamentale.
Si esprimeva, ai nostri tempi, anche attraverso il nostro lavoro verso i contadini, che sono tanta parte del movimento cattolico nella nostra provincia. Si è inverato nel centro sinistra al governo, ove la continua mediazione per l’unità tra queste diverse ispirazioni ha portato ad un’azione che, se pur difficile, è stata la base per un ampio consenso popolare, dimostrato dalla partecipazione alle “primarie” e dalle recenti elezioni.
Cito alcune delle grandi iniziative positive verso le campagne in cui il gruppo dirigente astigiano del PCI, tra cui Ferraris, ebbe un ruolo protagonista importante: – le manifestazioni contadine provinciali contro il dazio sul vino negli anni ‘50, che venne abolito;
– quelle per il Fondo di Solidarietà nazionale contro la Grandine, di cui si ottenne la costituzione dopo le manifestazioni con i trattori a fine anni ‘60 e con un contributo importante, sia sul piano organizzativo che su quello legislativo, dell’astigiano on. Oddino Bo;
– le manifestazioni nella Valle Belbo, a metà degli anni ‘60, nel periodo di mia gestione Dell’A.C.A., per la contrattazione dei prezzi del moscato con gli industriali, oggi diventato istituzionale;
– aiutando, come fece Ferraris, il sorgere di molte cantine sociali negli anni ‘50, in un momento di acuta crisi vinicola, che rappresentarono un importante strumento di intervento sul mercato e di valorizzazione della qualità delle nostre produzioni. E’ stato un momento importante, anche se oggi l’esperienza di vari crolli ci induce a riflettere sulla difficoltà di creare e mantenere strutture solide sul terreno infido dei debiti bancari
se si cede talvolta a onerosi e inefficienti doppioni causati da localismi esasperati. Solo la Chiesa pare essere in grado di mantenere un campanile su ogni collina.
Una notazione: durante quelle lotte i comunisti seppero realizzare importanti legami con gruppi di base e dirigenti del Partito dei Contadini, a quei tempi ancora con notevole seguito. Anche ciò dimostra la validità della politica di quel gruppo dirigente astigiano, che seppe uscire da secche ideologiche ancora frenanti, allora, su scala nazionale.
Credo sia importante rilevare che in queste iniziative, come nella creazione di un’organizzazione contadina
autonoma, il gruppo dirigente astigiano fu all’avanguardia su scala nazionale. Solo nell’VIII congresso nazionale il PCI assumerà la questione del ceto medio contadino tra quelle prioritarie nella strategia comunista.
Siamo stati un partito di lotta. Ma abbiamo imparato anche ad essere un partito di governo: la parabola politica del compagno Ferraris negli ultimi anni, il suo impegno in cariche istituzionali, dalla Regione Piemonte alla Cassa di Risparmio di Asti, cosi come quello di tanti altri compagni, lo dimostra ampiamente. Anche in quest’ultima le nostre vite si sono intrecciate e credo di poter affermare che la nostra azione, in alleanza con altre forze oneste, fu determinante per evitare che questa istituzione, di interesse primario per l’economia astigiana, crollasse in una torbida vicenda che aveva radici mafiose e nella quale si affacciarono nomi come Rapisarda, Dell’Utri, ambienti di destra dell’ABI e del mondo bancario romano, operazioni dubbie tese a celare la realtà di “scoperti” in atto, giudici milanesi che in seguito alla loro azione furono trasferiti d’ufficio, ecc.
Mi si dirà: oggi il PCI non esiste più, i democratici di sinistra non sono più legati ad una ideologia caduta con il muro di Berlino e dell’URSS.
Vero. Ma l’esperienza storica ci insegna che il presente è stato generato nel ventre del passato, così come nell’oggi esistono i germi del futuro.
Certo, oggi, nell’astigiano come su scala nazionale, la contraddizione marxista tra proletariato e capitale non si presenta più nei termini netti e centrali del secolo scorso. Nuove categorie sociali, nuovi tipi di rapporto di lavoro, nuove problematiche, hanno visto la luce. Le tradizionali certezze del “posto sicuro e duraturo” e di livelli di pensione garantita crollano.
Siamo di fronte ad una società in forte movimento.
La sinistra ha davanti a sé l’esigenza di un’azione politica articolata e complessa in una società in forte cambiamento. Di questo si rendeva certo conto Ferraris nella sua azione di governo, quale assessore regionale e amministratore bancario.
Un ultimo, piccolo inciso: il lavoro per la prospettiva del partito democratico che, credo, Ferraris auspicasse nello spirito ampio del consenso delle primarie… “Adelante Pedro con juicio si se puede” diceva un famoso personaggio manzoniano. Verso il partito democratico con “juicio” politico, con il consenso “si se puede”, ma “adelante”.
* Intervento in occasione dell’inaugurazione della Sala Bruno Ferraris nella sede provinciale DS ad Asti (2 luglio 2006).
Piera Bruno Mirate
Pino Povigna
Piera Bruno Mirate
Bruno che se ne va di casa, per non rinunciare alla sua scelta comunista, e dorme per mesi su una brandina al Pci è il primo ricordo che mi viene in mente di lui.
Me lo racconta Giselda in una delle tante confidenze che mi fa quando vado in federazione: tra noi c’è un feeling particolare. Ho sedici anni, sono iscritta alla Fgci, e Aldo diciannove: stiamo insieme, Giselda è molto contenta. Io sono ancora acerba, lei ha un occhio e un cuore più esperto: ha capito quanto Aldo tenga a me.
Tante volte dice: “Vieni, vieni” e mi fa sedere nel suo piccolo ufficio, davanti alla scrivania su cui c’è un caos totale, ma dove lei trova tutto.
E un giorno mi racconta di quanto costò a Bruno lasciare i genitori contadini per non dover rinunciare alla scelta di dedicarsi al partito. Suo padre non era d’accordo, aveva un’altra mentalità, litigavano. Fu una rottura netta. “Bruno se ne andò di casa così com’era, non cedette di una virgola”, racconta Giselda. Non aveva un altro posto dove andare e il Pci non garantiva salari. Per parecchio tempo mangiò quando e cosa poté, rimediò una brandina e si sistemò al partito, presto il suo fisico si debilitò e lo colpì ai polmoni. Fu un sacrificio pesante.
L’incontro con Giselda, la cui famiglia possedeva un grande podere nella Bassa emiliana, rappresentò la sua salvezza.
Col tempo Bruno fece carriera nel partito e scelse di dimenticare i cattivi rapporti in famiglia: ci mise una pietra sopra. Quando morì il padre, rinunciò alla sua parte di eredità.
Questa sua fierezza, la forza nel difendere costi quel che costi la propria coerenza, l’orgoglio di una scelta che lo ha fatto soffrire, ma che ha saputo anche portarlo in alto, me lo rendono un uomo giusto e speciale.
Pino Povigna
Di Bruno ti fidavi e potevi raccontare tutto di te e di quello che pensavi. Ispirava fiducia.
Non so come, ma a un certo punto mi fu chiaro che anche gli avversari politici avevano di lui una grande stima, forse perché conoscevano bene la sua indiscutibile correttezza e lealtà.
Bruno, una bella persona. Un uomo decisamente buono, ma che all’occorrenza sapeva farti il pelo e contropelo.
Un esempio. Ai tempi delle lotte contadine per il fondo di solidarietà antigrandine eravamo insieme al blocco con i trattori ai Sabionassi di Costigliole.
Si stava discutendo su come proseguire la giornata: l’obiettivo era Asti. Bruno sosteneva che non ci si doveva muovere da Costigliole, io presi la parola e dissi invece che se l’obiettivo era Asti, ad Asti bisognava arrivare. Il blocco restò a Costigliole.
Il giorno dopo entrai in Federazione e mi dissero che Bruno voleva vedermi subito.
Entrai in segreteria, lui si alzò e…: “La prossima volta che mi fai un numero del genere ti stacco tutti i peli della barba a suon di schiaffi!”. Mi spiegò: “Proseguire fino ad Asti? Bella gita senza alcun profitto. Siamo a Costigliole, feudo della Dc capeggiato dal sindaco Bellone, ovviamente contrario alle lotte contadine, e molti dei suoi elettori oggi sono qui con noi. Molto più utile riempire la piazza sotto il suo Municipio”. Ecco come lui faceva politica.
E poi ricordo una sua sfuriata in una riunione della Segreteria sulla questione spinosa della gestione democristiana dell’ospedale di Asti.
Si parlava di irregolarità e qualcuno, non ricordo chi, propose di presentare denuncia in tribunale. Bruno rispose con insolita veemenza e durezza, scandendo bene le parole: “La politica non si fa nei tribunali!”.
Parole che mi sono rimaste impresse. Oggi più che mai sono convinto che la politica fatta nei tribunali non porta da nessuna parte.
Sede Legale: Asti, Piazza Statuto 1
Sede Operativa: Asti, Corso Casale 162