Assessore alla Regione Piemonte

Il cambiamento che seppe imprimere in me

Giovanni Ferrero

Il mio primo incontro con Bruno Ferraris, almeno il primo che ricordo, avvenne all’ultimo piano di Via Chiesa della Salute 47, il Regionale del PCI.
Forse ero stato appena cooptato nella direzione regionale e ricordo di aver esclamato, con un sorriso – allora i miei sorrisi erano uno stato quasi naturale – “ecco, il Migliore” davanti ad una fotografia di Palmiro Togliatti. Ricordo che Bruno, con un sorriso ma con una punta di preoccupata empatia mi disse che una larga parte del quadro dirigente del Partito non avrebbe apprezzato un atteggiamento poco riverente nei confronti dell’ex segretario.
Non tutti, in sostanza, avrebbero reagito, come faceva lui, con un sorriso che, in qualche modo, non considerava l’ironia una colpa, un peccato. Non ricordo tutti i dettagli della discussione che seguì, nella quale spiegai che ero divertito perché quella mattina, in una assemblea al Politecnico di cui ero studente, avevo largamente citato metodo e contenuti del pensiero di Togliatti e poi di Longo, in polemica con Lotta Continua. Ricordo che ci trovammo a discutere di un volume che illustrava la formazione del gruppo dirigente del PCI ascrivendone i meriti al pensiero di Antonio Gramsci.
Quella forzatura della Storia, il coraggio di rompere con l’Unione Sovietica del Bessarione, cioè di Stalin, l’idea del nuovo nome: Partito Comunista Italiano e non Partito Comunista d’Italia, la accettazione della democrazia e del mercato, della dinamica di cultura ed interessi nella società, la attenzione alle culture diverse dalla nostra, a partire da quella cattolica, furono, con il passare degli anni un cemento sempre più forte che mi ha legato a Bruno Ferraris, anche quando, con il passare del tempo, il ricordo del movimento contadino e di quello degli studenti si andava affievolendo.
Credo che questa fu la ragione che ci portò ad accettare senza esitazione la svolta di Occhetto.
Rispetto ad alcuni elementi di fastidio per il rischio che la nuova svolta ci portasse a perdere il rigore intellettuale e l’etica di partito, che era largamente l’elemento costitutivo della nostra solidarietà, prima ancora umana che politica, faceva premio infatti la convinzione che quella a suo tempo operata da Gramsci e di Togliatti, fosse stata poco capita e praticata, troppo usata come facciata per coprire la difficoltà costruire nuove politiche, nuove alleanze sociali, una diversa concezione dello Stato, federale, partecipato ma non demagogico o, come diremmo oggi, non populista.
Ricordo le complicate riunioni del gruppo regionale, in cui le posizioni di condanna di certe azioni dell’Unione Sovietica, nonostante il peso di Ferraris, di Rivalta, di Revelli, di Bontempi, passavano solo quando arrivava il comunicato di condanna del gruppo dirigente nazionale.
Ricordo anche come il rapporto con lui e con Rivalta fosse frequente, centrato su un progetto che voleva integrare la difesa del suolo, la pianificazione territoriale, lo sviluppo dell’agricoltura basato su un modello di collaborazione tra produttori, sull’innovazione di scienza e di cultura nelle campagne. Ricordo bene il tentativo di collegare il restauro dei castelli, ed in generale la valorizzazione degli edifici storici, con quel rilancio che, dopo la tragedia del metanolo, cambiò finalmente e radicalmente la qualità del nostro vino, ed in generale una nuova politica del cibo, grande occasione per una nuova agricoltura. Altri, meglio di me, potranno raccontare delle Enoteche, delle Cantine Sociali, dalla trasformazione di una rassegna piemontese “Cantè iì euv” che oggi, ricuperando il concetto di Terra Madre, si traduce in inglese con Slow Food.
Questo rapporto tra piemontese ed inglese, tra tradizione locale e globalizzazione fu occasione di molti incontri simili a quello avvenuto nel regionale PCI. L’Assessorato alla cultura sostenne la tournée dei Rolling Stones, e Bruno Ferraris non mi disse nulla; poi sostenemmo il festival della birra, e lì rividi il sorriso, il commento pacato ma critico di Bruno. Cercammo di porre rimedio, con le iniziative che ho citato prima. Soprattutto ricordo una volta, in giunta, in cui io, ”assessore giovane”, colsi un momento di imbarazzo, di fastidio, da parte dei miei colleghi “adulti”. Superai l’imbarazzo accendendo una sigaretta (allora la politica e il fumo parevano inscindibili). Bruno, che fumava almeno quanto me, fu il primo a sbottare. Sempre con il sorriso, ma con un tono di voce che non ammetteva repliche, mi disse che avevo esagerato. Non capivo. Mi disse di uscire e di guardare lo striscione dell’Assessorato alla cultura che campeggiava all’inizio di via Garibaldi, attaccato al Palazzo della Giunta Regionale. Uscii e il sorriso (e la sigaretta) si spensero sulle mie labbra. Lo striscione invitava ad una mostra organizzata dall’Assessorato alla cultura che stigmatizzava i manicomi come istituzione totale, di distruzione della persona. E fin qui niente di male. Peccato che lo striscione recitava, con corpi e caratteri cubitali ed identici, REGIONE PIEMONTE UNA PERFEZIONE MANICOMIALE.
Bruno Ferraris e Rivalta erano le persone, nella Giunta, dalle cui labbra pendevo letteralmente. Diversissimi come carattere, erano per me modelli inarrivabili. Ricordo di aver fatto dei viaggi in auto con Bruno solo per il piacere di chiacchierare, di ascoltarlo mentre parlava alle organizzazioni agricole, che avevano di lui reale considerazione e stima. Una stima che, allora, si basava sulla qualità delle persone, anche al di là di interessi ed opinioni differenti. Ricordo di aver presenziato, più che partecipato, per la mia assoluta incompetenza in materia, alla stesura, nell’ufficio di Bruno, di una qualche legge agricola. Ricordo Prina, Cavaletto, altre figure umane che apparivano e sparivano tra le colonne di fumo, che si fondevano in nuvole dense. Le colonne di fumo nascevano delle sigarette che Bruno accendeva, poi posava in un portacenere per accenderne immediatamente un’altra: quelle che vibravano luminose erano le sue parole, attraverso le quali, a partire da precedenti appunti, si dipanava l’impianto di una nuova legge. Quella volta il mio unico contributo, ne sono certo, fu quello del fumo acre delle mie Gitanes senza filtro. Dopo l’85 ci siamo visti molto meno, ma Bruno aveva contribuito a cambiarmi in modo profondo, non reversibile; io ero tornato all’ingegneria elettronica, che aveva prodotto l’informatica, e Bruno al mondo delle campagne, profondamente cambiato anche grazie alle sue azioni.
Ma le persone vivono nelle trasformazioni che hanno prodotto. In questo senso sono immortali. Nei cambiamenti prodotti nella realtà, di cui noi esseri umani siamo parte. Bruno è stato il legame iniziale che ha acceso rapporti di amicizia e stima con amici astigiani ritrovati negli anni di amministrazione della Fondazione CRT in cui con Tonino Fassone curavo la sistematica azione di restauro delle chiesette romaniche dell’Astigiano, che ha contribuito allo sviluppo del turismo di qualità dell’arte tra i vigneti.

Sede Legale: Asti, Piazza Statuto 1
Sede Operativa: Asti, Corso Casale 162

P.Iva: 92055230053