Questo rapporto tra piemontese ed inglese, tra tradizione locale e globalizzazione fu occasione di molti incontri simili a quello avvenuto nel regionale PCI. L’Assessorato alla cultura sostenne la tournée dei Rolling Stones, e Bruno Ferraris non mi disse nulla; poi sostenemmo il festival della birra, e lì rividi il sorriso, il commento pacato ma critico di Bruno. Cercammo di porre rimedio, con le iniziative che ho citato prima. Soprattutto ricordo una volta, in giunta, in cui io, ”assessore giovane”, colsi un momento di imbarazzo, di fastidio, da parte dei miei colleghi “adulti”. Superai l’imbarazzo accendendo una sigaretta (allora la politica e il fumo parevano inscindibili). Bruno, che fumava almeno quanto me, fu il primo a sbottare. Sempre con il sorriso, ma con un tono di voce che non ammetteva repliche, mi disse che avevo esagerato. Non capivo. Mi disse di uscire e di guardare lo striscione dell’Assessorato alla cultura che campeggiava all’inizio di via Garibaldi, attaccato al Palazzo della Giunta Regionale. Uscii e il sorriso (e la sigaretta) si spensero sulle mie labbra. Lo striscione invitava ad una mostra organizzata dall’Assessorato alla cultura che stigmatizzava i manicomi come istituzione totale, di distruzione della persona. E fin qui niente di male. Peccato che lo striscione recitava, con corpi e caratteri cubitali ed identici, REGIONE PIEMONTE UNA PERFEZIONE MANICOMIALE.
Bruno Ferraris e Rivalta erano le persone, nella Giunta, dalle cui labbra pendevo letteralmente. Diversissimi come carattere, erano per me modelli inarrivabili. Ricordo di aver fatto dei viaggi in auto con Bruno solo per il piacere di chiacchierare, di ascoltarlo mentre parlava alle organizzazioni agricole, che avevano di lui reale considerazione e stima. Una stima che, allora, si basava sulla qualità delle persone, anche al di là di interessi ed opinioni differenti. Ricordo di aver presenziato, più che partecipato, per la mia assoluta incompetenza in materia, alla stesura, nell’ufficio di Bruno, di una qualche legge agricola. Ricordo Prina, Cavaletto, altre figure umane che apparivano e sparivano tra le colonne di fumo, che si fondevano in nuvole dense. Le colonne di fumo nascevano delle sigarette che Bruno accendeva, poi posava in un portacenere per accenderne immediatamente un’altra: quelle che vibravano luminose erano le sue parole, attraverso le quali, a partire da precedenti appunti, si dipanava l’impianto di una nuova legge. Quella volta il mio unico contributo, ne sono certo, fu quello del fumo acre delle mie Gitanes senza filtro.
Dopo l’85 ci siamo visti molto meno, ma Bruno aveva contribuito a cambiarmi in modo profondo, non reversibile; io ero tornato all’ingegneria elettronica, che aveva prodotto l’informatica, e Bruno al mondo delle campagne, profondamente cambiato anche grazie alle sue azioni.
Ma le persone vivono nelle trasformazioni che hanno prodotto. In questo senso sono immortali. Nei cambiamenti prodotti nella realtà, di cui noi esseri umani siamo parte.
Bruno è stato il legame iniziale che ha acceso rapporti di amicizia e stima con amici astigiani ritrovati negli anni di amministrazione della Fondazione CRT in cui con Tonino Fassone curavo la sistematica azione di restauro delle chiesette romaniche dell’Astigiano, che ha contribuito allo sviluppo del turismo di qualità dell’arte tra i vigneti.