La geniale intuizione di un'organizzazione dei piccoli proprietari agricoli
Elio Archimede
Nel clima arroventato del secondo dopoguerra, mentre la DC costruiva un ferreo blocco sociale e politico con la Coltivatori diretti, il clero (che al tempo poteva contare su una presenza capillare in tutti i paesi rurali) e consistenti porzioni della struttura burocratica della pubblica amministrazione, il P.C.I. era impegnato a costruire un articolato sistema di solidarietà politica alternativo.
In questo lavoro i comunisti avevano il problema di costruire dal nulla rapporti consolidati e permanenti con ceti e gruppi sociali emergenti nel complicato momento economico, caratterizzato da una netta crisi sociale e dalle difficoltà di un mercato con poche regole e dominato da un’industria senza scrupoli e dalla speculazione.
La forma originale che assunse la politica del P.C.I. nell’area collinare piemontese (la provincia di Asti, il Monferrato alessandrino e le Langhe, allora poverissime e ben fotografate nella letteratura della “malora”) fu la costruzione di una forza economico-sociale dei piccoli proprietari, naturalmente sviluppatasi attraverso il diffuso acquisto delle terre agricole cedute dai proprietari urbani (importante il settore della borghesia ebraica), non attivi nella produzione del vino.
In questa elaborazione strategica del partito piemontese è stata rilevante l’influenza del pensiero gramsciano, per fortuna allora contava il rispetto dei classici, e la consapevolezza di voler fondare un ordine nuovo su basi di pensiero economico.
Bruno Ferraris fu protagonista di questo processo, che sfociò dapprima nella costituzione di tanti comitati di difesa della proprietà coltivatrice, di comitati promotori delle cantine sociali, di iniziative per la difesa delle colture agricole e per la creazione di un fondo nazionale anti-grandine; si tenga presente che al tempo la legislazione non era sensibile verso queste problematiche ed il credito non favoriva i ceti non privilegiati.
L’approdo organizzativo di questa articolata azione fu la nascita dell’A.C.A, Associazione Contadini Astigiani , con Bruno Ferraris segretario.
Lo spirito era unitario e rappresentativo di tutto il territorio, perché gli obiettivi erano comuni a tutti i piccoli proprietari, che si riconobbero in modo crescente nelle iniziative dell’Associazione.
Siamo negli anni tra la liberazione (1945) ed i primi anni 50; l’azione dei comunisti astigiani si articola tra una forte polemica antidemocristiana e la ricerca di una non facile intesa unitaria (in qualche misura anche con la DC) volta alle conquiste sociali della categoria agricola. Sulle colline piemontesi un ruolo particolare svolge il Partito contadinista, nato nel primo dopoguerra e sopravvissuto con alterne ed ambigue vicende nel ventennio fascista, infine rinato dopo la Liberazione come forza politica populista e scarsamente solidale con gli altri partiti.
Il percorso dei comunisti piemontesi non fu facile in un contesto che vedeva il sindacato puntare sulla Federterra, organizzazione dei lavoratori agricoli in netta contrapposizione ai proprietari agrari.
Più in generale, a sinistra si parteggiava per i contadini poveri (e senza terre) contro un sistema agricolo dominato da mercati, grande proprietà terriera, monopoli industriali.
Il tempo premiò l’intuizione dei piccoli proprietari agricoli uniti non da legami ideologici ma da interessi economici comuni.
Il successo politico di Bruno Ferraris si fondò sui continui contatti personali, sulla disponibilità ad ascoltare le istanze anche minimali delle migliaia di famiglie dedite ad un lavoro continuo ed estranee ai luoghi dove i problemi possono essere risolti; questa esperienza diffusa sul territorio e questo stile di relazione sociale caratterizzò l’attività amministrativa di Bruno Ferraris alla Regione Piemonte nella sua fase costituente (1975-1985).
E’ particolarmente significativo che il Piemonte seppe dominare il campo agricolo a livello legislativo e dell’iniziativa economica delle Regioni la legge 63 fu un modello nazionale di carattere normativo; l’Accordo Interprofessionale sulle uve moscato per la produzione dell’Asti spumante (1979) è stata una pietra miliare della politica agricola italiana.
Altrettanto la strategia piemontese per la promozione (contrapposta alla distruzione dei prodotti) delle eccellenze agro-alimentari legate agli specifici territori.
Piera Bruno Mirate
Pino Povigna
Piera Bruno Mirate
Bruno che se ne va di casa, per non rinunciare alla sua scelta comunista, e dorme per mesi su una brandina al Pci è il primo ricordo che mi viene in mente di lui.
Me lo racconta Giselda in una delle tante confidenze che mi fa quando vado in federazione: tra noi c’è un feeling particolare. Ho sedici anni, sono iscritta alla Fgci, e Aldo diciannove: stiamo insieme, Giselda è molto contenta. Io sono ancora acerba, lei ha un occhio e un cuore più esperto: ha capito quanto Aldo tenga a me.
Tante volte dice: “Vieni, vieni” e mi fa sedere nel suo piccolo ufficio, davanti alla scrivania su cui c’è un caos totale, ma dove lei trova tutto.
E un giorno mi racconta di quanto costò a Bruno lasciare i genitori contadini per non dover rinunciare alla scelta di dedicarsi al partito. Suo padre non era d’accordo, aveva un’altra mentalità, litigavano. Fu una rottura netta. “Bruno se ne andò di casa così com’era, non cedette di una virgola”, racconta Giselda. Non aveva un altro posto dove andare e il Pci non garantiva salari. Per parecchio tempo mangiò quando e cosa poté, rimediò una brandina e si sistemò al partito, presto il suo fisico si debilitò e lo colpì ai polmoni. Fu un sacrificio pesante.
L’incontro con Giselda, la cui famiglia possedeva un grande podere nella Bassa emiliana, rappresentò la sua salvezza.
Col tempo Bruno fece carriera nel partito e scelse di dimenticare i cattivi rapporti in famiglia: ci mise una pietra sopra. Quando morì il padre, rinunciò alla sua parte di eredità.
Questa sua fierezza, la forza nel difendere costi quel che costi la propria coerenza, l’orgoglio di una scelta che lo ha fatto soffrire, ma che ha saputo anche portarlo in alto, me lo rendono un uomo giusto e speciale.
Pino Povigna
Di Bruno ti fidavi e potevi raccontare tutto di te e di quello che pensavi. Ispirava fiducia.
Non so come, ma a un certo punto mi fu chiaro che anche gli avversari politici avevano di lui una grande stima, forse perché conoscevano bene la sua indiscutibile correttezza e lealtà.
Bruno, una bella persona. Un uomo decisamente buono, ma che all’occorrenza sapeva farti il pelo e contropelo.
Un esempio. Ai tempi delle lotte contadine per il fondo di solidarietà antigrandine eravamo insieme al blocco con i trattori ai Sabionassi di Costigliole.
Si stava discutendo su come proseguire la giornata: l’obiettivo era Asti. Bruno sosteneva che non ci si doveva muovere da Costigliole, io presi la parola e dissi invece che se l’obiettivo era Asti, ad Asti bisognava arrivare. Il blocco restò a Costigliole.
Il giorno dopo entrai in Federazione e mi dissero che Bruno voleva vedermi subito.
Entrai in segreteria, lui si alzò e…: “La prossima volta che mi fai un numero del genere ti stacco tutti i peli della barba a suon di schiaffi!”. Mi spiegò: “Proseguire fino ad Asti? Bella gita senza alcun profitto. Siamo a Costigliole, feudo della Dc capeggiato dal sindaco Bellone, ovviamente contrario alle lotte contadine, e molti dei suoi elettori oggi sono qui con noi. Molto più utile riempire la piazza sotto il suo Municipio”. Ecco come lui faceva politica.
E poi ricordo una sua sfuriata in una riunione della Segreteria sulla questione spinosa della gestione democristiana dell’ospedale di Asti.
Si parlava di irregolarità e qualcuno, non ricordo chi, propose di presentare denuncia in tribunale. Bruno rispose con insolita veemenza e durezza, scandendo bene le parole: “La politica non si fa nei tribunali!”.
Parole che mi sono rimaste impresse. Oggi più che mai sono convinto che la politica fatta nei tribunali non porta da nessuna parte.
Sede Legale: Asti, Piazza Statuto 1
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