A fine guerra il mondo politico di Asti – che è stato protagonista delle grandi scelte della Costituzione e della Repubblica – era emblematicamente affidato – alla testa di tutto il movimento democratico – a quei sei parlamentari già citati dal nostro periodico “D.S. Informazioni”, tra i quali vi era Felice Platone, Sindaco di Asti.
Nel P.C.I tra i vecchi compagni emergenti, oltre a Platone vi erano alcuni noti antifascisti processati ed incarcerati dal tribunale speciale fascista , come Giovanni Oreste Villa (segretario della federazione), Gallo Alberto (Spada), Secondo Saracco, Giovanni Vogliolo, Marcello Bernieri (Costa), Federico Torretta (che fu poi eletto deputato nel 1948, assieme alla prima donna astigiana eletta: Elisabetta Gallo) e tanti altri, tra i quali l’astigiano Giuseppe Gaeta, rientrato ad Asti nel 1955 e addirittura l’ex deputato comunista del primo dopoguerra De Martini, tornato a fine guerra dall’Argentina dove si era rifugiato durante la dittatura fascista.
Tra i giovani che allora sono entrati nelle file del PCI operando per la saldatura tra vecchia guardia e forze nuove della politica in un “ tiro d’assieme” che ha saputo rinnovare e far crescere tutta la sinistra vi erano – assieme a Bruno Ferraris – altri protagonisti come Giuseppe Milani, Dario Ardissone, Valerio Miroglio, Renato Franchi, Piero Testore, Antonio Setti e – tra le donne – la Marisa Ombra, la Rina Gaeta, la Nerina Medici, la Olga Marchisio e tanti altri.
Il Ferraris “INNOVATORE” col quale abbiamo operato a lungo è l’espressione emblematica di quel “tiro d’assieme “tattico e strategico” che la sinistra – superando certi suoi vecchi limiti – ha saputo costruire dopo la sconfitta del nazifascismo. E il contributo di Bruno Ferraris è stato determinante non solo nell’attività di partito e nel movimento contadino ma, con la dovuta evidenza – sia ad Asti che a livello regionale e nazionale – anche nelle istituzioni, a partire dal Consiglio provinciale di Asti e dal Consiglio regionale del Piemonte di cui è stato grande Assessore.
Un Assessore regionale all’agricoltura che – tanto per fare un esempio – ha saputo ufficializzare e far riconoscere quella ”Normativa di contrattazione del moscato” (unico caso in Italia) che per oltre un decennio di lotte aveva impegnato i viticoltori piemontesi a manifestare ad ogni vendemmia per la conquista di un più forte potere contrattuale con le ben note “guerre del moscato”. E lo aveva potuto fare quando si era costretti a lottare non per cambiare e migliorare la Costituzione ma per attuarla, denunciando e sconfiggendo il colpevole ritardo governativo più che ventennale nella creazione delle Regioni, previsto dai costituenti per il 1950 e ritardato poi sino al 1970-72.
Egli è stato dunque uno dei più autorevoli protagonisti di quella battaglia e di quella svolta strategica del PCI e della sinistra che nel dopoguerra – contro ogni estremismo e dogmatismo – ha affermato e portato avanti l’impegno ideale e pratico sia nella costruzione dello Stato democratico sia nell’organizzazione a difesa di tutto il mondo del lavoro: quello dipendente e quello autonomo delle città e delle campagne.
Quella scelta strategica della sinistra l’ha resa più credibile e più forte non solo nelle campagne, ma anche per il successo della battaglia politica nazionale contro la legge-truffa elettorale che nel 1953 la DC ha tentato invano di imporre per mantenere ad ogni costo la maggioranza assoluta che aveva ottenuto con la sua vittoria elettorale del 1948, che si era accompagnata addirittura alla scomunica. Grazie anche al contributo dei contadinisti, che già si erano impegnati con noi nelle contrastate elezioni delle mutue contadine e che si erano ribellati al tentativo di coinvolgerli in quella evidente truffa elettorale. E non a caso pochi anni dopo acquista un valore emblematico la presenza (come oratori) di un autorevole esponente della sinistra come Luigi Longo e del capo del partito contadini Sandro Scotti alla manifestazione regionale contadina di Asti del 1956 per il lancio di quella forma originale di lotta sulle strade che prese il nome di “passeggiate dimostrative” e che diede uno scossone per il pieno successo dell’azione rivendicativa, che comprendeva l’abolizione del dazio sul vino, successivamente realizzata.
Così come resta significativa la manifestazione di Asti del 1957 con Emilio Sereni per la presentazione ufficiale dello “Statuto della proprietà contadina e la successiva lotta nelle campagne che – col contributo determinante di Asti e del Piemonte – ha reso possibile in tutta Italia il pieno successo del “sessantotto contadino”.
Ho conosciuto Ferraris appena finita la guerra, nel 1946: lui partigiano, io invalido della cobelligeranza antinazista dell’esercito. L’ho incontrato quando – a 24 anni – entravo nella segreteria del PCI di Asti con Villa come segretario e quando Bruno – a 19 anni – si apprestava a fare il servizio di leva, come l’avrebbe poi fatto anche il futuro segretario regionale del PCI Vito Damico, licenziato FIAT e partigiano. E non a caso parlo del buon inizio del 1946. Ne parlo anche perché quello è l’anno in cui Togliatti, in un suo famoso discorso a Reggio Emilia, ebbe ad affermare che “il riformismo – e tutto il socialismo ufficiale, del resto, tanto nelle sue correnti di destra quanto in quelle di sinistra – non seppe mai prendere una giusta posizione verso gli strati intermedi delle campagne… Questa posizione era antimarxista quant’altra mai”.
Non solo in una provincia contadina come la nostra, ma in tutta Italia, quel forte richiamo di Togliatti al rinnovamento di una strategia della sinistra per una “via italiana al socialismo” è stato un grande stimolo al superamento non solo dei limiti di “operaismo” ancora esistenti, allora, ma anche a coinvolgere il comunismo italiano nella ricerca di una via al socialismo come alternativa al capitalismo, ma senza passare attraverso la soluzione sovietica della nazionalizzazione e collettivizzazione della terra.
Il contributo di Asti e del Piemonte a quella scelta strategica (come sovente ricordavano Longo e Sereni) è stato lodevole e significativo. Lo è stato innanzitutto nel “tiro d’assieme” di tutta la sinistra per una sua più forte presenza nelle campagne, che ha dato vita alla grande manifestazione con diecimila contadini ad Asti del febbraio 1950 ed a tante altre iniziative di massa che hanno reso possibile la nascita dell’ACA (Associazione Contadini Astigiani) nel 1951, quasi contemporaneamente all’Associazione Contadini Biellesi, che sono poi confluite nell’Alleanza Nazionale Contadini creata nel 1955.
Ed a proposito del nuovo rapporto col ceto medio produttivo della città e della campagna, non va dimenticato il fatto che la stessa iniziativa politica ad Asti si è poi estesa agli artigiani con la creazione dell’Unione Artigiani ed alla distribuzione con la creazione della Confesercenti. E dieci anni dopo quel discorso di Togliatti, la svolta del PCI nella politica agraria veniva così confermata nel suo VIII° congresso nazionale del 1956: “I coltivatori diretti avranno garantito, nella società socialista, il godimento assoluto della loro proprietà. La classe operaia al potere metterà fine allo sfruttamento di cui essi sono vittime da parte dei monopoli, degli agrari e del governo. L’agricoltura socialista moderna sarà fondata sulla proprietà della terra a chi la lavora, sul progresso tecnico, su quelle forme di lavoro associato che i coltivatori stessi decideranno nel pieno rispetto della loro volontà e dei principi della democrazia”.
Il ricordo di Bruno Ferraris è perciò parte integrante di quella svolta che – anche ed innanzitutto ad Asti – ha dato i suoi frutti. Come, tra l’altro, ha ricordato anche il direttore dell’ISRAT, Mario Renosio, quando nella sua tesi di laurea (dopo aver evidenziato il fatto che negli anni ’50 il PCI astigiano “si impegnava a fondo sulla questione contadina”) aggiunge: “E’ questo, probabilmente, il merito politico principale dei comunisti astigiani, capaci di elaborare autonomamente, sia pure tra dubbi e difficoltà, una strategia politica legata in modo diretto e dinamico alle problematiche via via emergenti nell’agricoltura provinciale”. Questo, ovviamente, non vuol dire che – dovendo oggi riferire il nostro discorso su Ferraris prevalentemente alla questione agraria – si debba ignorare o sottovalutare il lavoro prezioso di tutto il gruppo dirigente (Ferraris compreso) in altri campi: a partire dalla fabbrica, dalla scuola e sul piano culturale, oltre che tra le donne e tra i giovani o sui problemi della Resistenza, resi più complessi dalle persecuzioni antipartigiane dello scelbismo.
Quel lavoro che (pur nei limiti di una piccola provincia e malgrado l’attentato a Togliatti e l’imperversare della guerra fredda) è poi riuscito, ad Asti e provincia, a realizzare persino le prime iniziative sulla programmazione territoriale ed è stato portato avanti dai tanti protagonisti di un ben noto e robusto “volontariato” a tutti i livelli i cui nomi, da Secondo Amerio a Giuseppe Milani (che, prima di essere chiamato al lavoro agrario, ha operato alla direzione FIOM-CGIL) sino a Tarabbio e ad Armando Valpreda, a Tino Ombra, a Gatto Perez, Achille e Audano (Hermes), da Gusio a Quartetto, a Laurana Lajolo, al Prof. Arcelli e ancora: da Amerio Pierina a Marialuisa Porrati, Archimede, Brignolo, Cossetta, Bosio, Viola; Grandi, Corvonato, Bosticco e tanti altri restano a testimoniare una crescita politica , sindacale, culturale che è ormai parte integrante della nostra identità, cui Ferraris ha contribuito anche come segretario del PCI ad Asti, dopo il quinquennio della segreteria Villa e dopo il decennio della segreteria Bo, a partire dal 1951.
Così dicasi per l’intensa collaborazione tra Ferraris e l’impegno a livello parlamentare di Platone e – dopo – dei due deputati del “Fronte” eletti nel 1948 (Torretta e Bettina Gallo), oltre agli eletti successivi: da Bo – eletto nel 1963 – a Mirate eletto nel 1972, sino a Gian Carlo Binelli. Anche questi nomi documentano quel “tiro d’assieme” nel quale ci siamo trovati ad operare con Bruno Ferraris, grazie ad una seria politica dei quadri ed alle scelte politiche in campo tattico e strategico che ad Asti e in Piemonte fanno della “memoria storica” della sinistra un motivo di orgoglio per il suo passato, la testimonianza della sua crescita politica e culturale che è ormai parte integrante della nostra identità ed un valido punto di riferimento per le non facili prove che ci attendono oggi e nel prossimo futuro.
Ed a proposito di “memoria storica” della sinistra auspico che la sala dedicata a Ferraris possa contribuire alla sua più ampia conoscenza sia coi dibattiti, sia con la lettura di quel poco che è stato già scritto. In tal senso ne approfitto per aggiungere che quando il giovane operaio Milani è uscito dalla fabbrica per una significativa “scelta di vita” che l’ha portato a lavorare sia al sindacato operaio sia alla testa del movimento contadino – assieme a Ferraris – è poi riuscito a lasciarci anche un suo assai interessante scritto sulle campagne e su quella esperienza. Per un altro spunto al dibattito potrei aggiungere che ad Asti le compagne allora impegnate sulla questione femminile hanno saputo andare oltre l’U.D.I creando addirittura l’Associazione Donne della Campagna. C’è quindi ancora molto da discutere e da conoscere.
Ecco perché vogliamo e possiamo ricordare Bruno Ferraris non solo come un grande amico nostro, ma come compagno esemplare di tante scelte e indimenticabili lotte. Ed anche per la sua totale dedizione ad una “scelta di vita” cui si accompagnava – lasciatemelo dire – anche l’esemplare impegno nel lavoro della sua indimenticabile compagna Giselda!
* Intervento in occasione dell’inaugurazione della Sala Bruno Ferraris nella sede provinciale DS ad Asti (2 luglio 2006).
Piera Bruno Mirate
Pino Povigna
Piera Bruno Mirate
Bruno che se ne va di casa, per non rinunciare alla sua scelta comunista, e dorme per mesi su una brandina al Pci è il primo ricordo che mi viene in mente di lui.
Me lo racconta Giselda in una delle tante confidenze che mi fa quando vado in federazione: tra noi c’è un feeling particolare. Ho sedici anni, sono iscritta alla Fgci, e Aldo diciannove: stiamo insieme, Giselda è molto contenta. Io sono ancora acerba, lei ha un occhio e un cuore più esperto: ha capito quanto Aldo tenga a me.
Tante volte dice: “Vieni, vieni” e mi fa sedere nel suo piccolo ufficio, davanti alla scrivania su cui c’è un caos totale, ma dove lei trova tutto.
E un giorno mi racconta di quanto costò a Bruno lasciare i genitori contadini per non dover rinunciare alla scelta di dedicarsi al partito. Suo padre non era d’accordo, aveva un’altra mentalità, litigavano. Fu una rottura netta. “Bruno se ne andò di casa così com’era, non cedette di una virgola”, racconta Giselda. Non aveva un altro posto dove andare e il Pci non garantiva salari. Per parecchio tempo mangiò quando e cosa poté, rimediò una brandina e si sistemò al partito, presto il suo fisico si debilitò e lo colpì ai polmoni. Fu un sacrificio pesante.
L’incontro con Giselda, la cui famiglia possedeva un grande podere nella Bassa emiliana, rappresentò la sua salvezza.
Col tempo Bruno fece carriera nel partito e scelse di dimenticare i cattivi rapporti in famiglia: ci mise una pietra sopra. Quando morì il padre, rinunciò alla sua parte di eredità.
Questa sua fierezza, la forza nel difendere costi quel che costi la propria coerenza, l’orgoglio di una scelta che lo ha fatto soffrire, ma che ha saputo anche portarlo in alto, me lo rendono un uomo giusto e speciale.
Pino Povigna
Di Bruno ti fidavi e potevi raccontare tutto di te e di quello che pensavi. Ispirava fiducia.
Non so come, ma a un certo punto mi fu chiaro che anche gli avversari politici avevano di lui una grande stima, forse perché conoscevano bene la sua indiscutibile correttezza e lealtà.
Bruno, una bella persona. Un uomo decisamente buono, ma che all’occorrenza sapeva farti il pelo e contropelo.
Un esempio. Ai tempi delle lotte contadine per il fondo di solidarietà antigrandine eravamo insieme al blocco con i trattori ai Sabionassi di Costigliole.
Si stava discutendo su come proseguire la giornata: l’obiettivo era Asti. Bruno sosteneva che non ci si doveva muovere da Costigliole, io presi la parola e dissi invece che se l’obiettivo era Asti, ad Asti bisognava arrivare. Il blocco restò a Costigliole.
Il giorno dopo entrai in Federazione e mi dissero che Bruno voleva vedermi subito.
Entrai in segreteria, lui si alzò e…: “La prossima volta che mi fai un numero del genere ti stacco tutti i peli della barba a suon di schiaffi!”. Mi spiegò: “Proseguire fino ad Asti? Bella gita senza alcun profitto. Siamo a Costigliole, feudo della Dc capeggiato dal sindaco Bellone, ovviamente contrario alle lotte contadine, e molti dei suoi elettori oggi sono qui con noi. Molto più utile riempire la piazza sotto il suo Municipio”. Ecco come lui faceva politica.
E poi ricordo una sua sfuriata in una riunione della Segreteria sulla questione spinosa della gestione democristiana dell’ospedale di Asti.
Si parlava di irregolarità e qualcuno, non ricordo chi, propose di presentare denuncia in tribunale. Bruno rispose con insolita veemenza e durezza, scandendo bene le parole: “La politica non si fa nei tribunali!”.
Parole che mi sono rimaste impresse. Oggi più che mai sono convinto che la politica fatta nei tribunali non porta da nessuna parte.
Sede Legale: Asti, Piazza Statuto 1
Sede Operativa: Asti, Corso Casale 162