Bruno Ferraris nasce nella frazione Dogliano di Agliano (oggi Agliano Terme) 18 giugno 1927 da una famiglia contadina antifascista: nei primi anni Venti, il padre Stefano era stato simpatizzante del Partito dei contadini d’Italia fondato dai fratelli Giacomo e Alessandro Scotti nel 1921.
Bruno studia a Torino presso il Collegio Salesiano Valdocco, dove l’ambiente impermeabile alla propaganda del regime favorisce il consolidarsi del suo impegno antifascista, che si rafforza durante la Resistenza.
A metà agosto del 1944, appena diciassettenne, entra nelle file partigiane scegliendo non la Brigata “Asti”, formazione autonoma che ha sede ad Agliano ed è comandata da Augusto Bobbio, il Capitano Tino, ma la 98a Brigata Garibaldi che è nata su iniziativa di Battista Reggio Gatto, Stefano Cigliano Mimmo e Dionigi Massimelli Nestore e che agisce tra la Val Tiglione e la bassa Valle Belbo, una formazione a cui ha aderito il gruppo di Vinchio guidato da Davide Lajolo Ulisse.
L’estate 1944 vede una grande adesione di giovani al movimento partigiano, tanto che la 98a si scinde in due diverse brigate (la 98a e la 100a), e si unisce alla 45a “Garemi” formando l’8a Divisione Garibaldi “Asti” alla fine di ottobre.
Ferraris si è intanto iscritto al Partito comunista ed è diventato responsabile provinciale del Fronte della Gioventù, una delle “organizzazioni di massa” unitarie collegate alle formazioni partigiane e ai Comitati di liberazione nazionale che riunisce ed organizza gli antifascisti più giovani. In questo ruolo Ferraris partecipa direttamente all’esperienza di autogoverno della Giunta popolare amministrativa di Nizza Monferrato e Agliano che, dalla fine di ottobre ai primi di dicembre del 1944, coordina la gestione democratica di una quarantina di comuni che si sono liberati dalla presenza fascista nell’area compresa tra il Tanaro, le Langhe e la pianura alessandrina.
Quando il grande rastrellamento nazifascista del 2-20 dicembre pone fine a questa esperienza di autogoverno, occupando l’intera zona e deportando centinaia di partigiani e civili rastrellati, Ferraris si occupa di porre in salvo e di nascondere i documenti prodotti dalla Giunta per evitare che cadano in mano nemica.
Dopo la faticosa riorganizzazione primaverile del movimento partigiano e la Liberazione, il diciottenne Ferraris inizia la propria militanza politica nelle file della federazione giovanile comunista astigiana. E’ con il II Congresso provinciale del Pci, che si volge il 20 e 21 dicembre 1947, che Ferraris entra negli organismi dirigenti locali del partito, come membro del Comitato federale provinciale. Le sue origini contadine e la sua profonda conoscenza dei problemi economici e sociali delle campagne astigiane ne indirizzano fin dagli inizi l’attività politica. Quando nel 1950 le campagne astigiane vivono una gravissima crisi del mercato vinicolo su cui si innesta il forte aumento del prezzo del solfato di rame, il Pci astigiano decide di dare voce al malcontento contadino e Ferraris è, con Oddino Bo e Giuseppe Milani, uno degli organizzatori di oltre 70 assemblee nei paesi della provincia e di una grande manifestazione che si svolge l’11 febbraio nel centro di Asti con la partecipazione di circa 8.000 contadini.
Partendo da questa esperienza, si concretizza una svolta all’interno della politica della federazione astigiana del partito che pone al centro della propria azione, oltre ai problemi e alle lotte del movimento operaio, anche quelli dei piccoli proprietari contadini. Per due anni consecutivi il partito punta sulla formazione specifica di propri dirigenti su questo tema presso la Scuola centrale quadri del Pci: nel 1950 Milani elabora una tesi conclusiva intitolata Il ceto medio contadino in provincia di Asti e l’anno successivo il tema scelto Ferraris è Problemi dell’agricoltura e della popolazione rurale dell’Astigiano.
Sempre nel 1951 la svolta verso una maggiore attenzione per le campagne è consolidata dall’elezione di Ferraris nel primo Consiglio Provinciale di Asti, nel collegio di Montemagno-Castagnole Monferrato, una carica che ricoprirà anche nelle successive tornate amministrative del 1956 e del 1964 e dall’elezione in settembre di Oddino Bo alla carica di segretario della federazione astigiana del Pci in sostituzione di Giovanni Oreste Villa, che va ricoprire la carica di vicesindaco di Alessandria. L’anno si conclude con la fondazione, ai primi di dicembre, dell’Associazione Contadini Astigiana (Aca), una nuova organizzazione sindacale di sinistra nata per contendere il monopolio organizzativo dei piccoli proprietari contadini alla Coltivatori diretti, organizzazione collaterale e punto di forza della Democrazia cristiana. Sul primo numero de “Il contadino astigiano”, organo dell’Aca, si legge che si tratta di un’organizzazione «fatta dai contadini per i contadini, per difendere i problemi dei contadini, difendere i loro interessi comuni, tessere e ritessere la loro unione; si propone di difendere la piccola proprietà in modo che, di fronte ai grandi e grossi nemici che la insidiano, abbia una difesa efficiente e non sia considerata come una sopravvissuta, quando lo Stato ricava dalla piccola proprietà una parte notevole delle sue entrate, una parte decisiva».
Ferraris è il primo segretario dell’Aca e gli esordi dell’organizzazione sono difficili: sono i dirigenti del Pci a recarsi nei paesi a tenere le assemblee, e la federazione si fa carico del pagamento degli scarsi e saltuari stipendi dei funzionari. Nel corso del 1952, il Pci indica l’obiettivo della costituzione di sezioni dell’Aca in almeno 40 paesi della provincia, la raccolta di 1.200 abbonamenti a “Il contadino astigiano” e la creazione di una rete di diffusori.
«Il Pci – relaziona il prefetto a fine marzo 1952 – ha continuato la sua opera di penetrazione capillare nelle classi rurali. Negli scritti e discorsi si denuncia con insistenza la crisi dell’agricoltura e l’impoverimento dei rurali facendone risalire le cause al Governo; si invitano i rurali ad una compatta azione per chiedere miglioramenti sociali ed economici sotto forma di riduzione delle imposte e dei prezzi dei concimi e del solfato di rame e di attrezzi agricoli».
Quando, nel 1953, l’Aca aderisce all’Alleanza Nazionale dei Contadini, Ferraris entra a far parte della Direzione nazionale dell’organizzazione e ricoprirà per il decennio successivo entrambi gli incarichi.
Piera Bruno Mirate
Pino Povigna
Piera Bruno Mirate
Bruno che se ne va di casa, per non rinunciare alla sua scelta comunista, e dorme per mesi su una brandina al Pci è il primo ricordo che mi viene in mente di lui.
Me lo racconta Giselda in una delle tante confidenze che mi fa quando vado in federazione: tra noi c’è un feeling particolare. Ho sedici anni, sono iscritta alla Fgci, e Aldo diciannove: stiamo insieme, Giselda è molto contenta. Io sono ancora acerba, lei ha un occhio e un cuore più esperto: ha capito quanto Aldo tenga a me.
Tante volte dice: “Vieni, vieni” e mi fa sedere nel suo piccolo ufficio, davanti alla scrivania su cui c’è un caos totale, ma dove lei trova tutto.
E un giorno mi racconta di quanto costò a Bruno lasciare i genitori contadini per non dover rinunciare alla scelta di dedicarsi al partito. Suo padre non era d’accordo, aveva un’altra mentalità, litigavano. Fu una rottura netta. “Bruno se ne andò di casa così com’era, non cedette di una virgola”, racconta Giselda. Non aveva un altro posto dove andare e il Pci non garantiva salari. Per parecchio tempo mangiò quando e cosa poté, rimediò una brandina e si sistemò al partito, presto il suo fisico si debilitò e lo colpì ai polmoni. Fu un sacrificio pesante.
L’incontro con Giselda, la cui famiglia possedeva un grande podere nella Bassa emiliana, rappresentò la sua salvezza.
Col tempo Bruno fece carriera nel partito e scelse di dimenticare i cattivi rapporti in famiglia: ci mise una pietra sopra. Quando morì il padre, rinunciò alla sua parte di eredità.
Questa sua fierezza, la forza nel difendere costi quel che costi la propria coerenza, l’orgoglio di una scelta che lo ha fatto soffrire, ma che ha saputo anche portarlo in alto, me lo rendono un uomo giusto e speciale.
Pino Povigna
Di Bruno ti fidavi e potevi raccontare tutto di te e di quello che pensavi. Ispirava fiducia.
Non so come, ma a un certo punto mi fu chiaro che anche gli avversari politici avevano di lui una grande stima, forse perché conoscevano bene la sua indiscutibile correttezza e lealtà.
Bruno, una bella persona. Un uomo decisamente buono, ma che all’occorrenza sapeva farti il pelo e contropelo.
Un esempio. Ai tempi delle lotte contadine per il fondo di solidarietà antigrandine eravamo insieme al blocco con i trattori ai Sabionassi di Costigliole.
Si stava discutendo su come proseguire la giornata: l’obiettivo era Asti. Bruno sosteneva che non ci si doveva muovere da Costigliole, io presi la parola e dissi invece che se l’obiettivo era Asti, ad Asti bisognava arrivare. Il blocco restò a Costigliole.
Il giorno dopo entrai in Federazione e mi dissero che Bruno voleva vedermi subito.
Entrai in segreteria, lui si alzò e…: “La prossima volta che mi fai un numero del genere ti stacco tutti i peli della barba a suon di schiaffi!”. Mi spiegò: “Proseguire fino ad Asti? Bella gita senza alcun profitto. Siamo a Costigliole, feudo della Dc capeggiato dal sindaco Bellone, ovviamente contrario alle lotte contadine, e molti dei suoi elettori oggi sono qui con noi. Molto più utile riempire la piazza sotto il suo Municipio”. Ecco come lui faceva politica.
E poi ricordo una sua sfuriata in una riunione della Segreteria sulla questione spinosa della gestione democristiana dell’ospedale di Asti.
Si parlava di irregolarità e qualcuno, non ricordo chi, propose di presentare denuncia in tribunale. Bruno rispose con insolita veemenza e durezza, scandendo bene le parole: “La politica non si fa nei tribunali!”.
Parole che mi sono rimaste impresse. Oggi più che mai sono convinto che la politica fatta nei tribunali non porta da nessuna parte.