Bruno Ferraris, nel suo ruolo di esperto indiscusso della “questione agraria”, come si sarebbe chiamata nel gergo dei comunisti di quell’epoca, non poteva che essere l’uomo dell’agricoltura e delle foreste.
Ferraris era davvero un grande esperto di agricoltura perché conosceva a fondo il ruolo delle Associazioni (per anni alla guida dell’Alleanza dei Contadini, poi divenuta Confcoltivatori), ma soprattutto era un conoscitore di contadini, proprio per il ruolo avuto nell’Associazione ma soprattutto perché astigiano di Agliano, figlio di contadini: l’agricoltura della piccola proprietà contadina era il suo pane.
Era anche profondo conoscitore dell’istituzione regionale, voluta dalla Costituzione, ma nata soltanto nel 1970; in quegli anni le regioni stavano per ereditare le competenze dallo Stato, cosa che avvenne in modo organico nel 1977 (con il DPR 616/77). Fino a quel momento chi aveva in pugno le sorti degli agricoltori era da una parte il Ministero, con le decisioni assunte centralmente sulla base di leggi del Parlamento e di normative ministeriali, ma sul territorio il potere era in mano esclusivamente agli ispettorati agrari e alla Coldiretti: Il filo che legava gli uni all’altra era percepibile e i contributi alle imprese agricole, o le risorse per le opere di bonifica dei consorzi, oppure gli interventi nella sistemazione delle strade interpoderali e persino il risarcimento alle imprese in caso di danni alluvionali o grandine, erano decisi dagli ispettorati ma, in modo non visibile, dalla Coldiretti, che esercitava un potere determinante fuori e dentro l’Assessorato; gli ispettorati dipendenti dall’Assessorato all’Agricoltura quasi ignoravano le altre Associazioni: la Confcoltivatori, oggi Confederazione Italiana dei Coltivatori – denominata C.I.A. (erede della Alleanza dei Contadini) e la Confagricoltura (sul territorio denominata Unione Agricoltori).
Grazie alla vittoria del PCI e del PSI nella primavera del 1975, Bruno Ferraris varca il portone del palazzo di 8 piani di cemento, ferro e vetro di Corso Stati Uniti 21 (edificio appena demolito) sede dell’Assessorato regionale all’Agricoltura e Foreste, che contava, tra l’Assessorato in centro a Torino e più di una ventina di sedi periferiche, ubicate in tutte le province piemontesi, oltre 600 dipendenti.
Bruno Ferraris sapeva di doversi muovere con delicatezza ma altrettanta fermezza e determinazione in un ambiente a lui (e ai partiti di sinistra) certamente sfavorevole: i funzionari, i quadri e i dirigenti, la cui gran parte proveniva dai ruoli dello Stato, quindi ministeriali, si sentivano per necessità legati al grande carro della Coldiretti e, di conseguenza, della Democrazia Cristiana, da cui avevano atteso ordini e suggerimenti senza discutere.
E’ quindi facile intuire come questi funzionari e dirigenti si potevano sentire un po’ sperduti per non aver più come referente un politico della Democrazia Cristiana, che amministrava in Regione fino a quel momento: tra il 1970 e il 1975, in realtà con ancora pochi poteri perché le deleghe statali giunsero solo nel 1977, ma al governo in quasi tutte le province e in tantissimi comuni piemontesi e che in tutto il Paese deteneva un potere enorme nel settore agricolo.
Ferraris già tre mesi dopo il suo insediamento allontanò qualche funzionario “chiacchierato” (che appunto aveva conosciuto nel suo precedente ruolo di responsabile della sua associazione), creò intorno a sé un gruppo di consulenti esterni (quasi tutti a titolo gratuito) ed un piccolo gruppo di funzionari, alcuni giovanissimi, con cui iniziò a lavorare alacremente.
Questo gruppo di persone eticamente responsabili, avendo a cuore l’interesse dell’ente sopra ogni cosa, si mise al lavoro; ma Ferraris, volendo allacciare un nuovo e proficuo rapporto con la struttura interna, valorizzò alcuni dirigenti seri e professionalmente preparati, realizzando nel corso dei 10 anni successivi le politiche più importanti nel settore dell’Agricoltura, delle Foreste e della Montagna piemontese e non solo piemontese.
Qui giova ricordare l’amicizia e la stima che Bruno Ferraris aveva per il ministro dell’agricoltura del tempo: Giovanni Marcora. I due si chiamavano regolarmente al telefono per concordare su alcuni temi perché la stima era reciproca, nonostante Marcora fosse un democristiano ma, come Bruno, partigiano nelle ultime fasi dell’occupazione nazifascista nella sua regione.
I due seppero instaurare un rapporto determinante, ricco di contenuti. Mentre il ruolo della Coldiretti e delle Associazioni in generale tendeva a normalizzarsi e a diventare meno aggressivo sulle istituzioni regionali, le Regioni (e la nostra in particolare) seppero costruirsi un percorso legislativo e normativo in grado di essere altamente funzionale per rendere l’agricoltura italiana più moderna e competitiva.
Ancora non si parlava di Conferenza dei Presidenti delle Regioni italiane, né era ancora nata la conferenza Stato – Regioni, ma il germe per la collaborazione interregionale in agricoltura nasce proprio in questi momenti, di grande fermento.